BRITISH RENAISSANCE - GIOVENTU', AMORE E RABBIA NEL CINEMA INGLESE DEGLI ANNI OTTANTA

RITISH RENAISSANCE - GIOVENTU', AMORE E RABBIA NEL CINEMA INGLESE DEGLI ANNI OTTANTA, a cura di Emanuela Martini


Autori: Emanuela Martini (a cura di)



Casa editrice:
Il Castoro, Milano, 2008



Collana:
Il Castoro in collaborazione con Torino Film Festival



Pagine:
174



Formato:
21x24



Prezzo:
20€



Lingua:
Italiano

Indice:

L'aria del tempo


Da una piccola isola

- In England's green and pleasant land, di Alberto Crespi

- Revolution rock (It's a brand new rock), di Federico Guglielmi

- Racconti migranti. Narratori e commediografi, di Masolino D'Amico

- Un film è un film è un film. Il cinema della televisione, di Kenith Trodd

- Slave to the rhythm. La moda e la performance, di Pier Maria Bocchi

- Space Oddity. Il mondo di Dennis Potter


Belle speranze

- Grazie, signora Thatcher, di Emanuela Martini


I film della rassegna, a cura di Arturo Invernici


Bibliografia, a cura di Roberto Manassero


British Renaissance è il titolo di una delle retrospettive che il Torino Film Festival, edizione numero ventisette, ha voluto dedicare ai suoi spettatori. Ma è soprattutto l’epiteto con cui vengono classificate una serie di pellicole inglesi che hanno fatto la loro comparsa tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta; è l’etichetta appiccicata su un (non)movimento e una (non)corrente cinematografica, giovane, ribelle, vitale e rabbiosa. A cavallo tra i due decenni registi come Neil Jordan, Peter Greenaway e Stephen Frears, talentuosi cineasti spesso al soldo delle televisioni britanniche, alzano il loro grido di protesta nei confronti dell’amministrazione conservatrice di Margaret Thatcher, creando un fiume di pellicole destinato prima di tutto a fare incetta di premi, poi, qualche anno più tardi, ad essere salutato come la rinascita del cinema inglese. Una retrospettiva, quella, che è ben conscia di non poter essere altro che un’introduzione al cinema dei sobborghi londinesi, accompagnata da un libro, questo, che ne segue i precetti: non più di un film per regista (fatte poche, dovute, eccezioni), per dare allo spettatore prima e al lettore poi una panoramica la più ampia possibile sul fenomeno, mettendolo nelle condizioni di sapersi muovere all’interno della rinascita, lasciandogli in bocca quella curiosità che lo guiderà poi ad un ulteriore approfondimento. Così sembra aver ragionato Emanuela Martini, curatrice sia della retrospettiva che del volume in questione. Aprono il libro decine di brevi scritti dei registi, pillole di pensiero che lette una dopo l’altra sembrano il manifesto di un (non)movimento mai nato e allo stesso tempo, quindi, mai morto. Poi oltre venti pagine di immagini pure, completamente incentrate sui protagonisti della British Renaissance: volti di operai, di alcolizzati, di giovani dalle belle speranze perdute, di sportivi, di punk e di ribelli. E poi i saggi, sette in tutto, come fulmini a squarciare le infinite sequenze di volti e situazioni che fanno bella mostra dalle foto, splendide, del volume: brevi e liberissimi scritti (si veda quello di Pier Maria Bocchi) che hanno come intento principale quello di fotografare un’epoca, un periodo, una realtà ed una società a cui i vari Frears e Greenaway si sono prima ispirati, poi ribellati. Come a dire che prima di parlare di questo cinema è necessario parlare di quell’Inghilterra. Solo una volta fatti propri certi scenari è possibile parlare e guardare le pellicole che li raccontano. Non è un caso quindi che il saggio di Emanuela Martini, il più cinematografico di tutti, sia posto a chiosa degli altri sei. Arturo Invernici, soltanto nelle ultimissime pagine, fornisce al lettore la traccia più completa: l’elenco di tutti i film presentati durante la retrospettiva, che poi altro non è che una ispirata cernita tra tutti i film (più di ottanta) che possono essere ascritti al filone.
Il lettore è ora pronto per diventare uno spettatore: ha le basi storico-sociali e un elenco di ciò che dovrà vedere. Ad un libro del genere non si può chiedere veramente di più.

Michelangelo Pasini