I FILM LIBERANO LA TESTA

I film liberano la testa, di R. W. Fassbinder


Autore: Rainer Werner Fassbinder


Casa editrice:
Ubulibri, Milano, 1988


Collana:
La Collanina


Pagine:
120


Formato: 14,5 x 18,5


Prezzo:
10 €


Lingua:
Italiano

Indice:

Imitation of Life

Se si ha l'amore in corpo

Otto ore non fanno un giorno

Molte ombre ma nessuna pietà

Aver dato-dover avere

Il cinema tedesco si arricchisce

A proposito della disperazione e del

coraggio

'Un anno con tredici lune'

'La terza generazione'

Esercizio alla sbarra: verticale, salto mortale chiusura riuscita

Risposte a domande di studenti

Le città dell'uomo e la sua anima

Premesse al progetto di film 'Cocaina'

Michael Curtiz: un anarchico a Hollywood?

Hanna Schygulla

Alexander Kluge deve aver compiuto gli anni

Note preliminari a 'Querelle de Brest'

Cannes dagli occhi tristi

Come immagino la mia attività professionale futura?

Lettera aperta a Franz Xaver Kroetz

A proposito di 'Der Mull, die Stadt und der Tod'

Oggetto: Premio federale per 'Germania in autunno'

Hit-parade del cinema tedesco

C'è ancora un futuro per il cinema?

Nota per il progetto di film 'Rosa Luxembourg'

Nota editoriale

Data la mia feroce “non-fassbinderianità”, ho potuto apprezzare questo libro unicamente come specchio dell'affettazione, dell'egocentrismo e dell'auto-sopravvalutazione del suo autore.
Prendiamo il primo articolo della raccolta: RWF applica la categoria baziniana di “cinema della crudeltà” alle opere di Douglas Sirk, ma – limitandosi a mapparla sulle trame – ne tralascia l'aspetto più decisivo, quello di uno “stile veicolo di contenuto”. Il risultato? Sei pagine di sinossi di film.
Il secondo pezzo, invece, è una specie di lungo aforisma in cui trionfa il trobar clus, il gusto per il paradosso (“Non avere utopie è già di per sé un'utopia”) e per gli effetti speciali della retorica.
Nell'intervista, poi, l'autore esibisce verso le domande degli studenti lo stesso atteggiamento di sufficienza adottato nei confronti di Wim Wenders in Chambre 666: troppo impegnato a recitare la parte del maudit per prendere sul serio gli interlocutori.
L'apice, però, lo si raggiunge con Hanna Schygulla, dove l'onnipresenza del pronome “io” fa nascere più di un dubbio sull'appropriatezza del titolo dell'articolo in rapporto al suo contenuto. Potrei continuare all'infinito, ma credo di aver reso l'idea: un libro masturbatorio e piuttosto inutile.

Michael Guarneri