BELA TARR
Autori: Jytte Jensen (a cura di)
| Indice: The Camera is a Machine, di Gus Van Sant Werckmeister Harmonies, di Jim Jarmusch Béla Tarr, di Ulrich Gregor Béla Tarr, di Derek Elley Neither Before Nor After, di Johnathan Rosenbaum Two Variations for a Theme, di Bérénice Reynaud Places off the Map. Jonathan Romney talks to Béla Tarr The Terror and the Caress of the World, di Stephane Bouquet, The World According to Tarr, di Andreas Balint Kovacs | Béla Tarr è un nome che dice poco a pochi prescelti. A partire da quest'assunto di fondo, nell'ottobre 2001 il MOMA di New York decide di accompagnare alla retrospettiva completa dei film dell'autore ungherese, una piccola monografia che vuole essere un biglietto da visita ma che non disdegna di scendere più in profondità nel discorso critico. Ad aprire le danze, a conferma del carattere istituzionale del volume, ci pensa Jytte Jensen, curatore dell'evento e responsabile del Department of Film and Media del museo, con una brevissima introduzione dell'opus tarriana rivolta ad un pubblico ancora totalmente all'oscuro di ciò che l'aspetta. Seguono a ruota due eccellenti sponsor, Gus Van Sant e Jim Jarmusch, che rintracciano superficialmente suggestioni, debiti ed analogie tra il proprio cinema e quello di Béla Tarr. Non molto lontana l'operazione di Ulrich Gregor, patron del festival di Berlino per trent'anni, che contribuisce almeno per il momento a far volar basso questa prima parte del libro (si cita, a conferma, la chiusa dell'intervento: "Therefore we need Béla Tarr's films in order to live on"). Derek Elley ripresenta nuovamente la filmografia in un intervento che, posto a metà del volume, può ben dirsi fuori luogo (anche nei contenuti, con paragoni insondabili tra Tarr, Joyce, Bruckner e Zulawski). Con uno stacco netto si passa alla seconda parte del libro, nella quale gli interventi si fanno più lunghi, ponderati ed azzeccati. In primo luogo Jonathan Rosenbaum, storica penna del Chicago Reader e esportatore negli Stati Uniti di tantissimo cinema d'autore, tenta una collocazione storica di Tarr nel panorama cinematografico europeo, per poi tracciare un profilo autoriale complesso e suggestivo, nel quale ogni opera viene cesellata all'interno di un quadro più ampio. Bérénice Reynaud ripesca due importanti pezzi scritti a metà anni Novanta per i Cahiers che continuano ad essere, a distanza di quindici anni, due tra i più acuti interventi critici su Tarr e, in particolare, su Satantango. Stesso prezioso riciclaggio fa Stephane Bouquet per Dannazione. Le interviste a Béla Tarr riservano sempre qualche sorpresa, ma raramente positive: il regista non ama mettersi in discussione né parlare del suo cinema, così spesso all'intervistatore tocca fare salti mortali per riuscire a strappare qualcosa in più di ammiccanti alzate di spalle. Jonathan Romney riesce nell'impresa, riuscendo persino nell'impresa di far sbilanciare il Nostro con dichiarazioni esplicite ed esaustive. Infine, la perla più preziosa, il saggetto di quindici pagine di Andreas Balint Kovàcs, studioso e storico ungherese, che ha il merito enorme di riuscire a dipanare quasi tutti i nodi attorno ai quali la critica che si è occupata di Béla Tarr è rimasta intrappolata. Un contributo importantissimo, quello di Kovacs, che rende da solo il libro degno dell'acquisto, anche per chi è rimasto folgorato da un film o da una sola scena di Béla Tarr e decide, dopo averne divorato la filmografia, di volerne di più. Si segnala, inoltre, la vivace presenza di molte immagini tratte dalle scene più celebri di ogni film di Béla Tarr. Nel complesso l'operazione Béla Tarr della Filmunio risente della fatica (di per sé inutile) dell'operazione di legittimazione culturale di un cineasta all'interno del panorama internazionale. Infatti, lo spirito con il quale essa si muove è, nonostante certi picchi critici, quello di un press-book per intellettuali e critici di tutto il mondo. Certo, al momento è pur sempre la pubblicazione più importante su Béla Tarr; ma ci si augura che rimanga tale per poco ancora. Giuseppe Fidotta |