CARPENTER ROMERO CRONENBERG – DISCORSO SULLA COSA
Autori: Lorenzo Esposito | Indice: | Sarebbe un errore scambiare questo volumetto per una triplice monografia o per uno studio storico sul new horror. Discorso sulla cosa è infatti un raffinato saggio di filosofia dell'immagine, un pamphlet teorico su come i tre maestri dell'orrore hanno costruito una vera e propria teoria del visibile, qui dispiegata con sensibilità e piglio ghezziano (e difatti è Ghezzi stesso ad aprire le danze con una prefazione un po' troppo evanescente). Esposito, collaboratore di Filmcritica e redattore di Fuori Orario, più che seguire tracciati storici e critici classici, preferisce affrontare la percezione di un sentire e di un immaginario comuni; la scrittura segue perciò involuzioni liriche e letterarie, che, se non mancano di fascino, rischiano spesso di risultare eccessivamente evasive e vaghe. Se il saggio non difetta di metafore ficcanti, di boutades geniali (come l'accostamento tra horror e porno, per il comune distacco dalla vita e l'oscena ripetizione dell'identico) e molte (ri)definizioni seducenti (“l'horror manovra tra fascino della manipolazione e ossessione del controllo, tra il desiderio del viaggio in un territorio sconosciuto, e la paura di non saper più tornare indietro”), dall'altra trascura di strutturarsi secondo uno sviluppo pienamente intelligibile, lasciando il testo preda di inestricabili gorghi di scrittura e di tautologie teoriche leggermente compiaciute. Passando al contenuto del saggio, se su Cronenberg non si fa che approfondire la nota centralità visiva e filosofica del corpo, e riguardo Romero ci si sofferma sull'etica dello sguardo e sul clinico realismo caratteristico del fantastico d'ascendenza browning/mathesoniana, il saggio appare particolarmente illuminante quando parla di Carpenter. Si indaga la bruciante carica politica della sua opera, sfida al vedere e insieme inesausta lotta all'orrore dell'identico, orrore che Carpenter individua nei processi mediali di disidentificazione e di perdita dell'identità. Il saggio prosegue inoltre con un'intelligente digressione sulle contaminazioni letterarie (Scritture), che tratta dei vari adattamenti e debiti d'immaginario da Lovecraft, King, Ballard, Burroughs, Matheson, concludendosi infine con una riflessione sulla smaterializzazione dell'immagine horror, il fagocitante dominio del virtuale e l'agonia del genere. Complessivamente, un testo senza dubbio incontenibile, trasversale e assai fitto di suggestioni, ma anche nebuloso e ostico da fruire, nonchè dal prezzo eccessivo per un numero di pagine piuttosto modesto. Dario Stefanoni |